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I migranti protagonisti alla sagra

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2015 15:50
10/09/2015 15:50
 
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Storie di fuga dall'Africa e di violenza raccontate con coraggio dal palco, poi gli abbracci, i balli insieme e la voglia di dare una mano

L’Arena 10.09.2015

Il pullman grigio arriva a Vigasio, alla sagra di Campagnamagra, intorno alle 19 di martedì, quando le prime persone, poche, cominciano ad animarla. Scendono i migranti, ospiti all'Albergo Marino di Buttapietra. Sguardi curiosi e spensierati, hanno quasi tutti fra i 18 e i 25 anni.

«Sono 31, arrivano da vari Paesi dell'Africa subsahariana», racconta Nadia Gobbo, coordinatrice del progetto immigrazione della Cooperativa sociale spazio aperto.

«L'idea di invitarli alla sagra e offrirgli la cena», spiega il presidente di Legambiente Vigasio, che ha ideato l'evento, con gli organizzatori della festa stessa, il gruppo Emera Onlus, «è nata qualche giorno fa. Volevamo che durante la serata i presenti potessero scoprire questa realtà e conoscere le storie dei ragazzi».

Poco dopo l'arrivo si sono trasferiti nella cappella, dove è stato recitato il rosario, e così persone del posto si sono confuse e mischiate con i migranti. Koffi, ivoriano di 18 anni, rimane fuori, appoggiato al muro continua a rileggere le parole che ha scritto su un foglio a matita in italiano: «Dopo devo leggerla davanti a tutti», sussurra.
Finita la funzione, prende la parola Nadia Gobbo: «L'unico modo per combattere la paura è conoscerli, ascoltare quello che hanno da dire e capire ciò che hanno passato. Sono arrivati in Italia perché scappano dalla guerra e dalla fame». «Durante il giorno», prosegue, «sostengono visite mediche, vengono vaccinati, seguono corsi di italiano. Abbiamo chiesto al comune che vengano impiegati nei lavori socialmente utili e siamo in attesa di una risposta».
Lo stesso gestore dell'albergo conferma che molti ragazzi hanno voglia di mettersi al lavoro, certi si prendono cura dell'orto. Alcuni abitanti della zona stanno portando vestiti e cibo per dare una mano.

Per la prima uscita di gruppo da quando sono a Buttapietra, questi ragazzi hanno scelto i vestiti migliori. Chi ne ha di troppo grandi o fuori misura si rivolge a Bukary, anche lui ospite della cooperativa. Quest'ultimo, ivoriano di 27 anni, nel suo Paese faceva il sarto. Grazie alla macchina da cucire regalatagli dai proprietari dell'albergo si rende utile.

Intanto la sagra si popola. I tavoli sono pieni di gente, alcuni vengono riservati ai ragazzi della cooperativa e ai volontari. Durante la cena, Ferguson, 40 anni, nigeriano, racconta la sua storia. «Sono dovuto scappare quando la situazione nel mio Paese è diventata insostenibile. Un giorno degli uomini armati stavano facendo razzia, casa per casa. Quando sono entrati nella mia hanno ucciso mio padre, mia moglie e mio figlio. Io sono riuscito a scappare dal tetto. Ho raggiunto in macchina la Libia, dopo diverso tempo e 18 ore di navigazione siamo stati raggiunti dalle nave della Guardia costiera italiana».

L'orchestra smette di suonare, la pista da ballo intorno alle 22 si svuota per un attimo. Sale sul palco allestito per l'occasione Koffi, jeans e maglione a rombi. Con imbarazzo, senza distogliere lo sguardo dal foglio, inizia a leggere la sua storia. Dopo aver perso un genitore e poi un fratello durante una manifestazione universitaria, il giovane è arrivato in Libia dalla Costa D'avorio a bordo di un camion. Ha fatto il muratore per un anno e ha trascorso più di sei mesi in carcere perché non aveva altri soldi da dare ai soldati. Dentro sistemava le bombe, dice. Per poi potersi imbarcare su uno di quei barconi della speranza che solcano di notte il mar Mediterraneo. I suoi compagni lo applaudono, anche chi si prende il tempo per ascoltare lo fa. Emozionato scende e viene abbracciato.

Ricominciano i balli, prima musica nostrana poi musica nigeriana. C'è anche chi tra i partecipanti alla sagra tenta di insegnare a qualche ragazzo i passi del liscio e della pizzica, ma si nota una certa diffidenza.
Awudu subito non balla. Il suo braccio sinistro è segnato da colpi da armi da fuoco sparatigli addosso in Libia. «Una notte, dopo mesi, siamo stati bendati e caricati su una barca. In mare tutti stanno zitti, hanno paura di essere uccisi», afferma. Poi, trascinato da un compagno si lascia anche lui coinvolgere nella danza.
Tra i paesani si legge un misto di curiosità e distacco, mentre uno per uno i ragazzi salgono sul palco, dicono il loro nome e la provenienza.
Una imprenditrice del luogo a fine serata decide di donare a tutti gli assistiti della cooperativa delle giacche per l'inverno.

Anche se la strada per l'integrazione è lunga, è la festa di tutti.

Nicolò Vincenzi
[Modificato da V.Parise 10/09/2015 16:08]
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